Intervista a Fausto Colombo, direttore del Dipartimento di “Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo” dell’Università Cattolica di Milano e relatore di Reinventing, il grande evento dedicato all’innovazione nel mondo non profit promosso da Atlantis Company e in programma a Milano il 10 e 11 ottobre.
«Di fronte al dolore degli altri molte persone assumono un atteggiamento di autodifesa: si rifiutano di guardare per non essere costrette a vedere, ovvero a fare i conti con la realtà». Fausto Colombo – direttore del Dipartimento di “Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo” e del Master in “Marketing digitale e pubblicità interattiva” dell’Università Cattolica di Milano, oltre che professore ordinario di “Teoria e tecniche dei media” e coordinatore del corso di laurea in Comunicazione e Società nella stessa università – sintetizza così una delle più insidiose spine nel fianco della comunicazione 2.0, in particolare se legata al non profit, «settore alle prese con un sentiment di fondo tendenzialmente non positivo».
Non esistono ricette magiche per uscire da questa delicata situazione, ma dalla sociologia arriva un valido aiuto per aprire uno spiraglio. «La comunicazione, come sottolinea Raymond Williams, oscilla tra la trasmissione e la condivisione», spiega Colombo, e l’obiettivo dei comunicatori, al fine di massimizzare l’efficacia del proprio lavoro, deve essere quello di spostare il più possibile l’ago della bilancia verso la condivisione, perché «le cose che colpiscono davvero sono, appunto, le esperienze condivise». «Quando ci troviamo in situazioni drammatiche – spiega Colombo – è istintivo soccorrere chi è in difficoltà, perché ci sentiamo tutti parte della stessa avventura. Ad esempio, io sono fermamente convinto che se le persone che hanno urlato cose irripetibili quando hanno visto sbarcare i migranti dalla Sea Watch si fossero trovate, per qualche strano scherzo del destino, a bordo della nave, sarebbero state le prime a tirare fuori dal mare le persone in difficoltà. La comunicazione dovrebbe attivare la stessa dinamica: far sentire chi legge o ascolta il racconto di un fenomeno nella stessa avventura di chi quel fenomeno lo vive ogni giorno».
Colombo è tra i protagonisti di “Reinventing 2019”, il grande evento dedicato all’innovazione nel mondo non profit promosso da Atlantis Company e in programma a Milano il 10 e 11 ottobre. In particolare, terrà la plenaria “Il ruolo dell’empatia nella comunicazione del terzo settore. Le emozioni positive nel non profit nell’era dell’egoismo sociale”.
Professor Colombo, come vede la comunicazione tra 10 anni?
«Questo è un momento in cui è molto difficile formulare previsioni, perché si rischia di essere avvelenati da alcune emergenze contingenti. La grande scommessa degli ultimi 10 anni è stata comprendere il ruolo che la rete internet e i nuovi media avrebbero acquisito nella comunicazione intesa in senso generale: industria della comunicazione e comunicazione interpersonale. I recenti sviluppi hanno però creato un po’ di pessimismo, almeno da due punti di vista: la questione del controllo sociale, cioè il fatto che le piattaforme siano vulnerabili a forme di controllo, e l’odio on line.
Questi grandi problemi portano a far temere un imbarbarimento della rete internet, che è stata attraversata, negli ultimi anni, da una grande utopia. Sono portato a pensare che ci sarà una evoluzione e che quest’ultima potrebbe essere legata alla riduzione dell’anonimato on line, che sta diventando sempre più una esigenza non procrastinabile. Un intervento in questo settore potrebbe cambiare radicalmente le carte in tavola».
Esistono delle tecniche efficaci per arginare il fenomeno dell’odio on line?
«L’odio on line è uno dei più grandi nemici dei comunicatori. Questo nuovo fenomeno ha modificato in maniera radicale anche la struttura del lavoro quotidiano, che deve essere sempre orientato alla gestione di situazioni di crisi. Si rischia, infatti, di essere attaccati praticamente ogni giorno: basta anche un errore minimo, e alcune volte non serve nemmeno quello per essere oggetti di pratiche di attacco.
Per contrastare l’odio on line esistono vari strumenti, come il metodo del “don’t feed the troll”, il ricorso a tecniche retoriche come chiamare per nome la persona che invia messaggi offensivi e mantenere la calma, metodi di smascheramento progressivo dei troll o tecniche basate sull’utilizzo di risposte franche e schiette. Non esiste, tuttavia, una soluzione univoca: spesso bisogna mixare le varie tecniche.
D’altra parte, la comunicazione non è una tecnica, è un’arte. E l’arte ha bisogno di una sensibilità di situazione che la tecnica non richiede. I due strumenti fondamentali della comunicazione sono la sperimentazione sul campo e l’esperienza, che è la cosa più difficile da trasmettere».
Come siamo arrivati a questa situazione così difficile da controllare?
«Negli ultimi anni la tecnologia è andata avanti in maniera troppo veloce rispetto alla nostra capacità di adattamento, anche professionale. La comunicazione è stata, cioè, protagonista di una accelerazione che ha reso molto difficile l’alfabetizzazione.
Negli ultimi anni si è verificata, inoltre, una vera e propria trasformazione del ruolo della comunicazione nella nostra vita. In particolare, abbiamo iniziato a percepirla come un modo per riempire i vuoti e sconfiggere la noia. In passato si comunicava quando si aveva qualcosa da dire, oggi si comunica quando non si ha niente di meglio da fare. I social network sono un esempio evidente di questa dinamica: urlare e aggredire è diventato un modo per affermare la propria identità inserendosi in un flusso.
L’unico vero deterrente a questi comportamenti è la cultura. La mancanza di stimoli culturali, infatti, produce solitudine, vuoto e carenza di autostima, che poi generano questo tipo di comportamenti comunicativi improntati sull’odio».
Perché ha scelto di occuparsi di comunicazione?
«Le mie scelte professionali nascono dalla combinazione tra una passione empatica e una passione intellettuale».
C’è un fenomeno comunicativo emergente che la colpisce in maniera particolare?
«Il ribaltamento della natura della satira, che da millenaria arma del contropotere si sta curiosamente trasformando in arma del potere. La satira, infatti, è nata come strumento di opposizione al potere dominante, ma attualmente è il potere stesso ad utilizzarla per prendere in giro gli oppositori o la gente comune. Si tratta di un fenomeno molto interessante, da studiare ma anche da combattere».
Fausto Colombo, in occasione del proprio intervento a Reinventing, approfondirà tutti questi temi, offrendo nuove e originali chiavi di lettura dei fenomeni più complessi della comunicazione nel Terzo Settore. La sua plenaria, in particolare, sarà incentrata su tre concetti cardine: empatia, emozioni positive ed egoismo sociale.